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Altro che sociale!

 
Altro che "destra sociale", i voucher sono uno strumento della peggiore destra neo-liberista.
 
Chi pensava di avere a che fare con un destra sociale di governo si dovrà ricredere velocemente, già a partire dalla nuova manovra. Siamo di fronte alle solite ricette neo-liberiste ampiamente sperimentate, soprattutto sulla pelle dei più fragili. Ed ecco che alla prima occasione riappaiono i voucher.
 
Si tratta di “buoni lavoro” - 10 euro l’ora - rilasciati dallo Stato allo scopo di retribuire prestazioni professionali occasionali o limitate a un certo periodo dell’anno. Uno strumento che nel passato si è già dimostrato fallimentare.
 
Introdotti nel 2003, con la legge Biagi, i voucher lavoro vennero applicati solo a partire dal 2008 allo scopo di contrastare il lavoro nero e difendere le categorie considerate più deboli nel mercato del lavoro, come ad esempio le colf e le badanti. Negli anni successivi questo strumento fu allargato ad una platea di lavoratori sempre maggiore: ripetizioni a casa da parte di studenti, lavoretti di giardinaggio, braccianti, pulizie e faccende di casa, prestazioni di hostess o steward in fiere o eventi pubblici. Il Governo Monti (Riforma Fornero) ne liberalizzò l’uso con il solo vincolo economico pari a 5.000 euro all’anno per ogni singolo lavoratore. Il Governo Letta con il “Decreto Lavoro” eliminò la dicitura “di natura meramente occasionale” e ne estese l’uso a tutti i settori. Il Governo Renzi alzò il limite economico annuale di utilizzo da 5.000 a 7.000 euro, introducendo al contempo la tracciabilità.
 
L’utilizzo dei voucher in quegli anni creò un rapporto diretto fra i datori di lavoro e i lavoratori, senza l’intermediazione di sindacati o contratti nazionali di lavoro, favorendo i ricatti, il lavoro nero e sottopagato.
 
Il numero di voucher utilizzati dal 2008 al 31 dicembre 2015 furono 277,2 milioni, per un importo complessivo di 2,8 miliardi di euro. Nel triennio che va dal 2013 al 2015 aumentarono di circa il 70% ogni anno. Nel solo 2015 i voucher utilizzati furono 115 milioni per un importo complessivo di 1,15 miliardi di euro.
 
Nel 2016 la CGIL depositò oltre tre milioni di firme per abolire i voucher e nel 2017 la Corte costituzionale approvò il testo del quesito referendario proposto, giudicando che “l’evoluzione dell’istituto, nel trascendere i caratteri di occasionalità dell’esigenza lavorativa cui era originariamente chiamato ad assolvere, lo ha reso alternativo a tipologie regolate da altri istituti giuslavoristici e quindi non necessario”. Per scongiurare il referendum, il Governo Gentiloni li cancellò.
 
Sembrava finita qui, con la sostituzione dei vecchi voucher con i “Libretti famiglia” (molto controllati e difficili da utilizzare) con cui pagare piccoli lavori occasionali, ma il Governo Meloni ha deciso, consapevolmente, di tornare ad uno strumento pericoloso.
Gli attuali voucher sono pensati per i lavoratori più precari. Sono destinati al settore dell’agricoltura, dell’horeca (hotel, ristoranti e caffè) e dei servizi alla persona. L’attuale normativa sulle prestazioni di lavoro occasionali prevede che si possa ricorrere a questo tipo di prestazione per compensi complessivamente non superiori a 5.000 euro annui. Questo importo dovrebbe salire a 10.000 euro. Viene ampliata anche la possibilità di utilizzo dei voucher per imprese e datori di lavoro che abbiano alle proprie dipendenze fino a 10 dipendenti a tempo indeterminato. Il limite attuale è 5 lavoratori a tempo indeterminato. I buoni lavoro per le prestazioni occasionali e saltuarie avranno un valore nominale di 10 euro lordi all’ora, vale a dire 7,50 euro netti.
 
Meloni ha rassicurato dicendo che ci saranno “controlli rigidi per evitare storture”, ma il problema è un altro. Prendiamo come riferimento il mondo dell’agricoltura, i voucher non danno diritto a malattia, disoccupazione, ferie e scavalcano i contratti nazionali di lavoro. Favoriscono il lavoro nero e lo sfruttamento dei migranti. Se l’obiettivo fosse, veramente, quello di regolare il lavoro occasionale, avremmo altri esempi in Europa da cui poter prendere spunto.
 
In Germania dal 2003 esistono i cosiddetti “Mini Jobs”, una tipologia contrattuale che prevede determinati limiti temporali e retributivi. Non si possono superare i 400 euro al mese e la loro contribuzione, sia previdenziale che sanitaria, è esclusivamente a carico del datore di lavoro. La Legge sulla fiscalizzazione del reddito tedesco prevede anche numerose misure di deducibilità, sorte proprio con l’intento di promuovere questa tipologia contrattuale.
 
In Francia esiste una legge dal 2005 per lo sviluppo dei servizi alla persona. In pratica regola l’uso di assegni (CESU) usati da privati cittadini per il pagamento limitato esclusivamente alle prestazioni di lavoro a domicilio per un massimo di otto ore settimanali o quattro settimane consecutive. Al lavoratore sono riconosciuti i diritti di un lavoratore subordinato e il pagamento non può essere inferiore a quello del salario minimo. Si è poi atteso fino al 2009 per una regolamentazione delle imprese con i Titre emploi service entreprise (Tese). Anche in questo caso i vincoli prevedono che possono essere usati da imprese fino a 9 dipendenti o da aziende che, superando tale soglia, non utilizzino lavoratori occasionali per non più di 100 giorni o 700 ore all’anno.
In ogni caso al lavoratore francese vengono riconosciuti tutti i diritti di un subordinato. Una correlazione che spesso e volentieri viene invece dimenticata in Italia, dove gli anni di deregolamentazione non hanno fatto altro che rendere le nostre aziende sempre più svincolate dagli obblighi fiscali nei confronti dei propri lavoratori, trasformandoli in “imprenditori di sé stessi” ma a orari e condizioni stabilite da altri.
 
Come ricordato da un report pubblicato dall’Ufficio parlamentare di Bilancio nel 2017, in occasione dell’abolizione definitiva dei voucher, i rischi sul loro ritorno devono essere quantomeno presi in considerazione. Abbiamo alle spalle 10 anni di storia che ci racconta come i voucher non abbiano mai avuto una buona regolamentazione, anzi abbiamo constatato che questo strumento aumenta la precarizzazione dei giovani, incrementando in modo sconsiderato il tempo di permanenza con questa tipologia di assunzione.
 
Quindi non siamo di fronte a nessuna svolta, piuttosto si sta riproponendo un ritorno ad un passato già superato in Europa e in Italia.
 
Nel settore agricolo, oltretutto, di flessibilità già ce n’è in abbondanza. Nel corso degli anni leggi e contratti collettivi hanno introdotto diverse possibilità per le aziende, anche con assunzioni di un solo giorno. Aumentare il limite economico di utilizzo non farà altro che rendere chi lavora nel settore ancora più esposto alla precarietà e allo sfruttamento.
 
Più che un modo per semplificare le assunzioni, come detto dal ministro Lollobrigida, sembra essere un favore diretto a chi non vede l’ora di speculare sui diritti dei più fragili. Quella che credevamo essere una “destra sociale” sembra trasformarsi sempre più nella peggiore destra neo-liberista che questo Paese abbia mai avuto.
 

Blog news

Il “Sovranismo alimentare” è di sinistra!

Il “Sovranismo alimentare” è di sinistra!

La trasformazione del ministero delle “Politiche agricole” in “Agricoltura e sovranità alimentare” sta sollevando molte critiche a sinistra. Dal Forum Sovranità alimentare, organizzato per la prima volta nel 2007 in Mali da “La Via Campesina”, si legge che «La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica, ed anche il diritto di poter decidere il proprio sistema alimentare e produttivo. Questo pone coloro che producono, distribuiscono e consumano alimenti nel cuore dei sistemi e delle politiche alimentari e al di sopra delle esigenze dei mercati e delle imprese».


È la dichiarazione di Nyéléni che così si intitola, come il Forum, in onore di una donna del Mali che sfidò il potere patriarcale nel “lavoro da uomini” dell'agricoltura e sconfisse i suoi concorrenti maschi riuscendo a superare il clima arido e ad addomesticare colture come il fonio, sfamando l'intera popolazione.

 

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L’algoritmo che imbavaglia il dissenso: addio alla libera opinione?

Liberà di espressione limitata
 
Se dal 30 giugno non leggete un post sulla mia pagina Facebook non è perché ho tirato i remi in barca, o perché politicamente mi hanno messo il bavaglio (anche se, in effetti sono stato imbavagliato) ma semplicemente perché da ormai 4 mesi il social network più famoso e utilizzato al mondo ha deciso di limitare la mia pagina. 

Un avvertimento, un cartellino giallo, perché ho espresso i miei dubbi con un post, che mi è stato cancellato, su ciò che è accaduto con l’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia, che ha relegato gli interessi del popolo curdo a merce di scambio per ottenere l’approvazione della Turchia. 

 Facebook ha di fatto limitato la mia libertà di espressione.

Vi riporto qui il testo incriminato: 

 

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“A Daniele, militante di democrazia, Eugenio Scalfari". La sua dedica: un viatico per la vita

Con questa dedica si concluse la prima iniziativa dell’estate veliterna del 2008. Io ero stato da poche settimane nominato assessore alla cultura. Credevo fermamente che la Città avesse bisogno di rimettere al centro la cultura, gli eventi e il recupero di spazi ormai in disuso.

Quell’estate cominciò con un’iniziativa tra le più belle, partecipate ed emozionanti che io ricordi. Con la sfacciataggine che da sempre mi contraddistingue, ma anche con tantissima soggezione, invitai Eugenio Scalfari a presentare il suo libro appena uscito, “L’uomo che non credeva in Dio”.

I giorni precedenti li passai tra l’organizzazione dell’evento e la scrittura del mio intervento. Non volevo che la prima iniziativa avesse sbavature e non volevo fare brutta figura agli occhi del giornalista che così tanto aveva influenzato il mio pensiero politico e la mia passione ideale.

Per giorni scrissi e cancellai diverse volte il mio intervento, lo lessi ai miei malcapitati amici, lo corressi almeno un centinaio di volte, fin quando mi convinsi che la versione era quella giusta.

Arrivò il giorno dell’iniziativa e vedere il Direttore lì affianco a me, mi provocò una tale emozione da non riuscire a tenere fermo il foglio con il mio intervento. Decisi che tra la figuraccia di non riuscire a tenere un foglio in mano e quella di parlare a braccio, dicendo qualche strafalcione, fosse più conveniente la seconda. Parlai della democrazia, della Grecia e delle stelle. A ripensarci oggi provo più imbarazzo di allora.
L’iniziativa andò avanti con decine di domande, tra la curiosità del pubblico. Al termine dell’incontro ringraziai il direttore e gli chiesi di autografare una copia del suo libro. La dedica fu appunto “A Daniele, militante di democrazia”.
Custodisco quel libro come una reliquia, fu l’inizio di una stupenda stagione culturale per Velletri e per me un grande incitamento ad andare avanti.

Scalfari ha passato moltissimi anni nella nostra Città. La casa fu comprata dal padre e per il direttore questo luogo credo abbia rappresentato un’oasi di serenità e spensieratezza.

Il direttore è stato molto legato anche alla politica locale. Quando nel 1995 l’allora sindaco Valerio Ciafrei decise di non ricandidarsi per il secondo mandato fu chiamato da Scalfari, il quale provò in ogni modo a convincerlo a ripensare la sua scelta. Il Direttore chiamò i vertici nazionali dell’allora PDS affinché svolgessero un ruolo di ricucitura. Scalfari era convinto che senza la candidatura di Valerio Ciafrei, Velletri sarebbe caduta nella mani della destra, un fatto inedito per la città dei Castelli. La storia è nota: Ciafrei non si ricandidò e Velletri visse più di 10 anni di giunta di centrodestra.

Nel 2014 per i 90 anni di Scalfari organizzammo la festa di compleanno al Comune. Lui che dagli anni 90’ fu insignito della cittadinanza onoraria, accettò con entusiasmo di festeggiare nella sua città il proprio compleanno. Fu una festa veramente molto bella, la sala Tersicore allestita da Benito al Bosco fu un mix tra una festa popolare e un aperitivo su terrazza.

Solo pochi mesi fa, con le figlie Donata ed Enrica, abbiamo organizzato una proiezione pubblica del documentario “A sentimental journey”, che ripercorre gli aspetti più intimi della vita di Scalfari. È stato l’ultimo omaggio della sua Velletri. Non abbiamo mai dimenticato la sua disponibilità a partecipare alla vita della nostra comunità.

Perché ho raccontato questo? Per dire che La Repubblica era davvero ad immagine e somiglianza del suo fondatore. Tenere insieme l’alto e il basso, le analisi dei grandi intellettuali con la denuncia delle sofferenze dei più deboli, l’ascolto delle istanze del territorio con le trasformazioni internazionali.

Lo scherzo del destino è arrivato anche nel giorno della sua dipartita. Se ne è andato proprio in quel 14 luglio a cui lui era così legato.

La mia casa paterna dista poche centinaia di metri dalla sua. Ogni 14 luglio vedevo il cielo illuminarsi da fuochi d’artificio per festeggiare la Presa della Bastiglia, nel classico stile francese. Chissà se li vedremo ancora. Ma certamente dal prossimo anno quella data per me rappresenterà anche il giorno in cui rivolgerò un pensiero ad uno degli uomini che più ha inciso nel mio percorso politico.

 

Il mio intervento al workshop Progressive Politics and the Digital Revolution

 

Lunedì ho partecipato al workshop Progressive Politics and the Digital Revolution,  un'occasione di dialogo tra ricercatori, amministratori e dirigenti politici su scala europea. Questi alcuni passaggi del mio intervento: 

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Il tema del digitale assume sempre più centralità nel dibattito legato agli investimenti pubblici, ma raramente si discute dell’impatto che le nuove tecnologie hanno ed avranno sul mondo del lavoro e sulla società.

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Lasciamo accesa la lampada di Tom Benetollo

Sono cresciuto con i movimenti della pace. Quelli che chiedevano il disarmo, unico modello per una pace globale.


Non esiste mai una guerra giusta.


Nessuna lo è. Il dialogo, le “trattative” le chiamano gli analisti, sono e resteranno sempre la via maestra.

 

Siamo invece immersi in una narrazione di guerra. È come se la stampa mondiale ci stia preparando alla scelta irreparabile. Ineluttabile. La guerra totale.


Non mi piace Putin, non applaudivo chi andava in pellegrinaggio da lui, ma conosco abbastanza la civiltà russa per sapere di quanto sentimento siano capaci. A noi italiani sembra impossibile pure solo immaginarlo. Noi dove fisicità e sentimento sono stati sopiti da un pragmatismo senza anima.


Sono cresciuto nell’Europa post caduta del muro, mi sono formato politicamente dopo la dissoluzione dell’URSS e la fine della Jugoslavia. Ecco, appunto, i Balcani. Ricordo nitidamente la guerra a pochi passi da noi. Le bombe partite da casa nostra. Le abbiamo già dimenticate, perché fa male pensare che anche noi abbiamo contribuito a far sgorgare sangue innocente.


Di questa guerra non mi piace nulla. Mi nausea quasi tutto. Non mi piace l’avanzata inesorabile dell’esercito russo, lo sdoganamento del termine guerra nucleare, le frasi scomposte di Zelensky, l’invio di armi all’Ucraina, il riarmo nazionale, le ambiguità dell’Unione Europea, la russofobia, la stampa che abbandona Mosca, togliendo di fatto a noi la possibilità di ascoltare, da voci libere, cosa accada nel paese.


Tutto ciò che sarà possibile, anche di più, lo dobbiamo fare per i civili Ucraini. Aiuti sanitari, cibo, accoglienza senza esitazione.


Ma mai posso pensare che la via alla guerra possa essere la soluzione. Non posso pensarlo. Ricordo nitidamente la Perugia Assisi del 2003. Il tripudio di bandiere europee e della pace. Le pochissime di partito. Quell’omone di nome Tom Benetollo che, come “lampadiere”, illuminava il cammino di chi stava dietro di lui. È tutto ciò di cui abbiamo bisogno oggi. L’Europa politica in questi anni ha deluso, per non dire fallito.


E quasi 20 anni dopo molte battaglie le abbiamo perse, soprattutto a sinistra, perché ci siamo persi.

 

L'articolo su editorialedomani.it

 

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Agricoltura: Ognibene (LeU), i voucher sono l’anticamera del sistema Kafala

L'introduzione di criteri più elastici per l'utilizzo dei voucher per il lavoratori in agricoltura rischia di far riesplodere il fenomeno, mai del tutto estirpato, del capolarato, ma soprattutto favorisce la precarizzazione del lavoro in un settore nel quale invece occorrerebbero incentivi sempre maggiori". A sostenerlo è il consigliere regionale del Lazio, Daniele Ognibene, capogruppo di LeU in consiglio regionale.

"Questa misura varata dal governo - prosegue - è figlia di una politica del lavoro che intende mettere in secondo piano i diritti contrattuali e previdenziali dei lavoratori, specie nell'agricoltura che storicamente è un settore dove il lavoro ha scarse tutele e infatti dilaga il lavoro irregolare gestito spesso dalla malavita. Una delle caratteristiche principali dell'agricoltura è il lavoro stagionale, già regolato da norme, e non si capisce in quale modo l'introduzione dei voucher potrebbe favorire l'occupazione piuttosto che renderla ancora più precaria".

"Il governo dovrebbe invece rendere maggiormente esigibile la legge 199/2016 sul contrasto al lavoro nero e dello sfruttamento in agricoltura per arginare il mercimonio delle braccia e la vergognosa piaga dei permessi di soggiorno "a pagamento" verso i quali le forze dell'ordine hanno realizzato importanti azioni di contrasto. Attivando e rinforzando le attività ispettive, sostenendo le imprese che emergono dal sottosalario, piuttosto che rispolverare i voucher già ampiamente bocciati dai cittadini e dalle imprese serie. Questa ipotesi formulata dal governo va in favore solo a quelle imprese che pensano di poter instaurare, anche in Italia, la kafala come nel Qatar'', conclude Ognibene.

Fonte: agricolae.eu

 

Regionali Lazio, Ognibene (LeU): “Unità intorno al programma e candidato presidente condiviso da tutti”

“Bene la sospensione del tavolo del centrosinistra del Lazio. Ora resettare quanto avvenuto in queste ore per aprire subito un tavolo programmatico per costruire un’alleanza forte sui temi”. E’ quanto afferma in una nota il consigliere regionale del Lazio, Daniele Ognibene, capogruppo di LeU in consiglio regionale.

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Ospedale Velletri, Ognibene (LeU): rispettati gli impegni

 

“In pochi mesi la Asl RM6 ha affidato la progettazione per la ristrutturazione dell’Ospedale di Velletri, una struttura nevralgica per l’assistenza medica a supporto anche dei cittadini dei comuni limitrofi”. Così il consigliere regionale Daniele Ognibene, capogruppo di LeU in consiglio regionale del Lazio, al termine del primo sopralluogo effettuato insieme a tecnici e referenti della regione per mettere a punto la road map delle attività programmate.

 

“Un anno fa, insieme all’assessore Alessio D’Amato, abbiamo preso l’impegno con i cittadini veliterni e dei Castelli Romani di rilanciare una struttura messa a dura prova durante il Covid ma che ha sempre rappresentato, grazie alla grande professionalità di tutto il personale medico e sanitario, un punto di riferimento importante per le persone. Un finanziamento di 29 milioni di euro per una ristrutturazione totale che renderà l’Ospedale di Velletri una struttura moderna, al passo con i tempi”.

“Con gli operatori ed i tecnici si sta impostando un lavoro per  creare degli spazi funzionali adatti ad una nuova sanità, più agile e rispondente alle esigenze dei cittadini e delle cittadine. E’ un risultato importante che conferma come in questi anni il nostro impegno sulla salute delle persone sia stato una priorità nell’agenda di governo”, conclude Ognibene.

Fonte: romadailynews.it

 

L’Europa dei politici ha deluso

Sono cresciuto con i movimenti della pace. Quelli che chiedevano il disarmo, unico modello per una pace globale. Non esiste mai una guerra giusta. 
Nessuna lo è. Il dialogo, le “trattative” le chiamano gli analisti, sono e resteranno sempre la via maestra. 
Siamo invece immersi in una narrazione di guerra. È come se la stampa mondiale ci stia preparando alla scelta irreparabile. Ineluttabile. La guerra.

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Il Lazio punta sull’occupazione in «blue»: per tutelare attività e ricerca legate al mare

Come spesso accade, i numeri parlano da soli: 361 chilometri di costa sul Mar Tirreno, oltre 43 laghi, 18 fiumi e 11 porti marittimi strategici per spostamenti e trasporti commerciali. Eccolo l’identikit della regione Lazio in chiave “Blue Economy”, un sistema che in Italia raggiunge numeri altrettanto preziosi: con 200 mila aziende del settore e un milione di lavoratori che producono circa 47 miliardi di fatturato. Fatti due conti e guardandosi intorno, il Lazio ha scoperto di essere tra le prime regioni a dotarsi istituzionalmente di una legge quadro sulla «Promozione della formazione, occupazione nei settori della Blue economy», proposta recentemente dal consigliere regionale Daniele Ognibene, capogruppo del partito Liberi e Uguali (LeU).

Approvata la legge regionale sulla “Blue Economy” con un investimento da 2 milioni di euro. Un passo avanti per l’Italia, dove l’Economia del mare è formata da 200 mila imprese e un milione di addetti che producono 47 miliardi di euro. Cercasi Piano di investimenti nazionale
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Blue Economy: è legge la proposta di Daniele Ognibene

 

Regione Lazio, approvata all’unanimità la legge sulla Blue economy proposta dal Consigliere Regionale Daniele Ognibene: «Una svolta verso un’economia sostenibile»
 

 
La Regione Lazio ha approvato la legge sulla “promozione della formazione, occupazione nei settori della Blue economy”, che vede come proponente Daniele Ognibene (Capogruppo LeU al Consiglio Regionale del Lazio).
Una svolta decisiva per una regione che può vantare ben 361 km di costa sul Mar Tirreno, oltre a 43 laghi, 18 fiumi e 11 porti marittimi strategici per spostamenti e trasporti commerciali.

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Velletri, scoperta la targa che intitola il piazzale della Villa Comunale alla maestra socialista Clementina Caligaris

 

Partecipata cerimonia stamattina presso la Villa Comunale di Velletri, dove è stata scoperta la targa che intitola il piazzale dell’area verde alla socialista Clementina Caligaris, membro della Consulta Nazionale per la Costituente e prima donna nelle Istituzioni veliterne.

Clementina fu tra le prime 13 donne ad entrare a far parte di un’Istituzione, quale la Consulta Nazionale per la Costituente, parlamento transitorio nominato dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale dopo il ventennio fascista.

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Velletri, inaugurati percorsi playgroung sul monte Artemisio

 

Giornata di giochi, sport, cultura del territorio e tutela dell'ambiente al rifugio forestale del Monte Artemisio a Velletri, gestito e curato dal Parco Regionale dei Castelli Romani dove stamattina sono stati inaugurati anche dei percorsi playground con giochi per bambini e adulti alla presenza del vicepresidente della regione Lazio Daniele Leodori, del direttore dei Parchi Regionali Vito Consoli.

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