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L’algoritmo che imbavaglia il dissenso: addio alla libera opinione?

Liberà di espressione limitata
 
Se dal 30 giugno non leggete un post sulla mia pagina Facebook non è perché ho tirato i remi in barca, o perché politicamente mi hanno messo il bavaglio (anche se, in effetti sono stato imbavagliato) ma semplicemente perché da ormai 4 mesi il social network più famoso e utilizzato al mondo ha deciso di limitare la mia pagina. 

Un avvertimento, un cartellino giallo, perché ho espresso i miei dubbi con un post, che mi è stato cancellato, su ciò che è accaduto con l’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia, che ha relegato gli interessi del popolo curdo a merce di scambio per ottenere l’approvazione della Turchia. 

 Facebook ha di fatto limitato la mia libertà di espressione.

Vi riporto qui il testo incriminato: 

 

 

“Per far entrare la Svezia e la Finlandia all’interno della NATO, alimentando ancor di più il clima di guerra, il prezzo da pagare alla Turchia è altissimo. 

Helsinki, ma soprattutto Stoccolma, hanno sacrificato gli interessi dei curdi e si sono impegnate a non fornire alcun sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), a interrompere ogni sostegno alla milizia curda Ypg (Unità di Protezione Popolare) e a ritrattare per l'estradizione di 33 curdi. 

Sembrava ieri quando in tanti gridavamo “Per Abdullah Öcalan, Libertà”.

Il popolo Curdo per Svezia e Finlandia, ma soprattutto per l’Europa, non vale nulla". 

Secondo l’agorà digitale ho sostenuto la causa di un gruppo terroristico. A decidere quali sono “i gruppi terroristici” è sostanzialmente la legge americana. In Europa, per fare un favore alla Turchia, è stato recentemente aggiornata una lista in cui per l’Ue solo il Pkk è un’organizzazione terroristica. Si dovrebbe aprire anche un capitolo enorme sui rapporti tra l’occidente e la Turchia, su come Erdogan sia diventato oggi un punto di riferimento imprescindibile per l’Europa e gli USA, sull’incontro tra il leader turco (ma non era un dittatore?) e Draghi, il quale nell’incontro in Turchia ha dovuto cedere alla retorica del problema migratorio, cadendo nei luoghi comuni più beceri, pur di creare quel legame opportunistico con Erdogan. Vorrei però concentrarmi sulla libertà di espressione e sugli algoritmi che regolano i social network.

 

L’algoritmo colpisce indiscriminatamente 

 

Se pensate che anche alcuni vostri post o commenti possano essere bloccati, potete stare tranquilli, si fa per dire. 

Facebook vi dà la possibilità di fare riscorso all’Oversight Board (in italiano Comitato Supervisione), un organismo indipendente e autonomo che l'azienda fondata da Mark Zuckerberg ha deciso di istituire nel 2020 per "supportare il diritto alla libertà di espressione delle persone" sulla piattaforma, ovvero intervenire sui casi in cui il social potrebbe aver cancellato un post senza averne il diritto o in assenza di presupposti.

Dal momento in cui è diventato operativo nel dicembre 2020, fino a settembre 2021, il Comitato ha giudicato 16 casi controversi. Le richieste di intervento sono nell'ordine delle 500mila.

L’algoritmo blocca il vostro post, un dipendente esterno sottopagato conferma in mezzo secondo la decisione dell’algoritmo, ma c’è la possibilità di fare ricorso e forse potrete essere fra i fortunati selezionati. 

Un vero e proprio enorme bavaglio alla libertà di espressione. 

Non siamo più essere pensanti, siamo numeri.

Il problema è che i social network come Facebook hanno assunto, di fatto, una funzione pubblica, relativa a un ambito in cui “appartengono o si riferiscono i diritti o gli interessi di una collettività civilmente ordinata”. E questo spazio è in mano ad un privato disposto a tutto pur di fare profitto. 

Ad oggi siamo di fronte ad una vera e propria “dittatura dell’algoritmo” che ci indica quello che dobbiamo dire e come. Per chi non lo sapesse, Facebook dà più visibilità ai post che al loro interno presentano parole chiave positive come “felicità”, “congratulazioni” ,“bellissimo” ,“insieme” ecc. e penalizza i post che parlano di “guerra”, “uccisioni”, “morte”, “povertà”. C’è solo una regola da seguire: essere felici e creare una community di persone felici che parlano della bellezza della vita, di quanto stanno bene e di quanto sono soddisfatte. Sembra una puntata di Black Mirror. 

Eliminare il dissenso all’interno di piattaforme come Facebook, Instagram, Twitter, YouTube ecc. significa appiattire il nostro livello culturale, omologare la nostra cultura. 

Sostanzialmente nessun organo di garanzia indipendente ad oggi regola Facebook. Anche uno Stato sovrano deve sottostare alle politiche della privacy o al regolamento del social.  

Se l’algoritmo è riuscito, positivamente, ad eliminare la pedopornografia sui social, a limitare le fake news e l’incitamento all’odio, non è riuscito a preservare il dibattito culturale. Chi vuole confrontarsi su temi delicati come quello curdo, semplicemente, non può. E viene penalizzato. 

Qui non viene lesa solo la Costituzione italiana, ma la dichiarazione dei diritti umani per cui: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione».

 

È giunta l’ora di un’autorità europea di controllo delle piattaforme web

 

In sostanza Facebook, che può essere considerato il più grande editore al mondo, si nasconde dietro regolamenti privatistici che tutelano il solo interesse del social. Cancella un post o oscura una pagina, come un editore può fare non pubblicando un articolo o un libro, ma allo stesso tempo quando il contenuto è valido non indennizza il lavoro intellettuale e non protegge di fronte a copyright o ad eventuali controversie e denunce. Facebook è editore quando censura, ma diventa aleatorio quando dovrebbe difendere la libertà di espressione o nel caso di indennizzare i partecipanti per i contenuti che vengono proposti. 

A nessuna azienda privata avremmo mai concesso un così forte potere di manipolazione. Ovviamente le piazze virtuali hanno la grande possibilità di far arrivare il proprio pensiero ad una platea vastissima, questo non possiamo sottacerlo, ma a che prezzo? I nostri dati sono sostanzialmente alla mercé di aziende che utilizzano la nostra privacy per creare campagne commerciali performanti quasi sempre a danno degli stessi utenti. 

Siamo di fronte ad uno strapotere degli algoritmi che sta stravolgendo le nostre vite, che rende sempre più difficile portare avanti un pensiero divergente che crei discussione, che non faccia atrofizzare la mente. 

Lo Stato dovrà prima o poi discutere di questo tema così fortemente pervasivo. Si riuscirà a mettere al centro del dibattito quali strumenti si debbano utilizzare per frenare le fake news ma senza limitare il diritto d’opinione? 

Oggi i social sono imprese in continuo sviluppo, ma spesso le regole per gli utenti sono complicate o addirittura nascoste. Le libertà individuali passeranno soprattutto dalla garanzia dei nuovi diritti digitali degli utenti del web. Non è più procrastinabile la creazione di un’autorità europea di controllo delle piattaforme. 

La mia speranza rimane quella di riprendere e continuare a vederci a contatto e dal vivo, tornare a  fare politica nei luoghi fisici e nelle piazze di tutti i giorni. Quelle presenti nei bar, per strada, sui mezzi pubblici e ovunque ci sia reale contatto con gli altri. Quando i bisogni del territorio si sentono sulla pelle, quando è possibile fare la differenza con le proprie azioni. 

A presto, quindi, nelle piazze di tutti i giorni.